Il vento fece sbattere la finestra e Bravafiglia si svegliò di soprassalto. Entrò un velo d’aria gelida e si arrotolò intorno a lei. La sollevò dal letto, la rivoltò e la fece ricadere. Poi andò via rabbioso, fracassando il battente.

Nel tempo antico, in un borgo isolato tra le alture della regione arida, viveva una ragazza dagli occhi dolci e il sorriso gentile. La chiamavano Bravafiglia. Si usava dare soprannomi in quel paesello. E si allevavano le pecore.

«L’ho trovata» annunciò il Potente delle Tenebre «vive in uno sputo di villaggio, là dove ora fa giorno» Perfido, Maliardo e Infido furono sorpresi. Aveva dato a loro il compito di cercarla.

Due case erano più grandi delle altre: la casa dei Lanari, in basso, dove si lavorava tutta la lana delle tosature; la casa dei Lattari, in cima, dove si raccoglieva il latte delle mungiture. Bravafiglia era l’unica figlia dei Lanari e il soprannome le veniva dalla bontà d’animo. Aiutava in casa, portava il gregge al pascolo, filava la lana, intratteneva i bambini e curava gli animali. Poi assisteva gli ammalati, medicava le ferite, riaggiustava le ossa rotte e faceva partorire le donne. A sera cadeva addormentata, prima ancora di essersi completamente distesa sul letto.

«L’hanno trovata!» esclamò il Signore della Luce. Ferro, Araldo e Balsamo si guardarono sgomenti. Come possibile? Non avevano mai perso di vista i loro avversari.

«Colpa mia» ammise il Signore della Luce «la Bestia maledetta mi ha ingannato. Mentre noi controllavamo i suoi mastini, lui si è mosso liberamente.»

«È stata uccisa?» chiese Balsamo angosciato.

«Non hanno potere sul corpo dei mortali, ma possono entrare nei loro desideri oscuri. La ragazza è senza ombre nell’anima e la Bestia ora lo sa. Cercherà di sopprimerla usando il malanimo di qualcuno più vicino a lei.»

«Cos’è stato?» le domando sua madre, notando i frammenti della finestra.

«L’ha fatta sbattere il vento.»

«Il vento? Ho lasciato la lana all’aria aperta ed è ancora là.» Cambiò tono «Non sarà entrato qualcuno?»

«Chi mai poteva entrare?»

«Quel giovane costruttore che lavora dai Lattari. Ci vai troppo spesso, col pretesto di insegnare a quella smorfiosa della loro figliola come accudire alla sua orribile capretta con la barba.»

«E dunque? Tu cosa credi?»

«Credo sia un bravo giovane. Non fartelo soffiare da quella viziataccia di Pretesa. Mai soprannome è stato più azzeccato del suo.»

«È viziata ma non cattiva» disse infine la ragazza «e non farebbe del male a me. Vado al pascolo con le pecore.»

«E vedrai se non ho ragione» chiosò sua madre.

Una ragione ce l’aveva già: quel giovane costruttore le piaceva davvero. Forestiero era il suo soprannome.

«Lei è limpida come l’acqua» diceva il Potente delle Tenebre ai suoi luogotenenti «ma c’è un’altra ragazza, in quello sputo di villaggio, che non lo è.»

Scossa dall’incubo della notte, mentre si dirigeva al pascolo, Bravafiglia ripensò ai racconti di un vecchio pastore. Narravano di forze occulte, da sempre in lotta per volgere al bene o al male le azioni degli uomini. Nel mondo dell’Invisibile, in cima all’altissimo Regno del Chiarore, c’era il Signore della Luce con le sue schiere di Spiriti Lucenti; mentre nel fondo del più profondo Abisso delle Ombre, il Potente delle Tenebre era circondato dalle sue orde di Spiriti Oscuranti. Lucenti ed Oscuranti si davano battaglia intorno ai mortali, per conquistarne i desideri e portarli a compimento. Purtroppo, a quei tempi, la storia degli uomini era scritta dai loro cattivi desideri. Ma se si fosse avverata la Profezia; se il fiore predestinato avesse ricevuto il polline della salvezza, allora sarebbe sorta una forza capace di spazzare via l’ombra dell’oscurità. Il Potente delle Tenebre cercava quel fiore per reciderlo.

Bruciamorte faceva il pastore dai Lattari. Un simpatico ragazzo irrequieto, amico inseparabile di Bravafiglia e di Pretesa. Insieme portavano allegria e vivacità in tutto il villaggio. Ma le cose stavano cambiando. A lui piaceva Bravafiglia; lei, però, era attratta da Forestiero, il costruttore ingaggiato dai Lattari. Cos’aveva di speciale quell’individuo scontroso e solitario, proprio non lo capiva. Eppure piaceva anche a Pretesa. Brutta cosa due amiche divise dallo stesso sogno d’amore. Una lotta impari: Pretesa otteneva sempre tutto ciò che desiderava.

Anche il ragazzo, quella mattina, portava le pecore al pascolo ed era combattuto. La volontà di rispettare la scelta della sua amata, lottava contro il desiderio di averla tutta per sé. Si affrettò a raggiungere Bravafiglia, per dirle una cosa urgente da parte di Pretesa.

«Dovresti andare da lei. Barbettina si è azzoppata!» Un ciuffo di barba sotto il mento aveva dato il soprannome alla capretta.

«Com’è successo?»

«Questa notte, rigirandosi nel sonno, Pretesa è caduta dal letto ed ha schiacciato la capretta che dormiva per terra, di fianco a lei.»

«Puoi badare alle mie pecore?»

«Te le riporto a casa sane e salve.»

Corse via sul sentiero dal pascolo al villaggio. Salutò i ragazzini e la gente che la chiamava per assistenza. «Vengo dopo» diceva a tutti e tirava dritto. Passò anche davanti casa sua e vide entrarvi il padre con Forestiero. Il cuore le balzò nel petto, però continuò a correre fino alla tenuta dei Lattari. Pretesa stava seduta sul gradino della porta di casa, con la capretta in braccio. La bestiola aveva la zampa posteriore disarticolata.

«Dovrà morire non è così?» diceva piagnucolando.

«Non disperare» la consolò con dolcezza «e raccontami com’è successo.» Aveva già disteso la capretta e le stava toccando l’articolazione malandata.

«Stanotte» cominciò a dire Pretesa, ancora scossa «mentre lei dormiva per terra accanto al mio letto, ho avuto un incubo terribile. È stato come se un telo gelido mi avesse avvolta e sollevata, girata, rigirata e poi fatta ricadere. Mi sono svegliata di soprassalto, sudata di ghiaccio e finita addosso a lei.»

Bravafiglia raggelò. Un incubo uguale al suo e nella stessa notte. Controllò il suo turbamento per non spaventare ancor di più l’amica.

«Fatti coraggio» le disse porgendole la capretta «e tienila ferma.» Una presa salda, una rotazione precisa ed una forte spinta, rimisero a posto l’articolazione della zampa e la capretta tornò a saltellare. Anche Pretesa era felice e la baciò, sulle guance e sulle mani.

«Tu sei speciale» le diceva «nessuna è come te.»

«Ora devo andare. C’è il mio giro di visite in paese.»

«Fossi in te correrei subito a casa. Potresti trovarci una gradita sorpresa.»

«Cosa dici?» Finse di non capire.

«Poco fa è venuto tuo padre. Cercava Forestiero. L’ha trovato al lavoro nel pozzo, che stiamo facendo scavare dietro casa, e sono andati via insieme. Nella tua stanza ci deve essere una finestra da aggiustare.»

«Affari da uomini» rispose vagamente.

«Non prendermi in giro e sbrigati. Quel giovane ti piace e potresti non avere un’altra occasione. Sono contenta per te.»

Era sincera? Quel giovane piaceva anche a lei, le si leggeva in faccia. Passò da un vecchio pastore a medicargli la ferita della gamba, da una giovane gestante a sincerarsi sulla prossimità del parto e dal gruppo di ragazzini che giocavano, per invitarli all’adunanza della sera. Ogni giorno infatti, dopo il tramonto, lei li riuniva nel cortile e gli insegnava cose utili per la vita.

Finalmente tornò a casa. Forestiero stava seduto alla tavola con suo padre.

«Questo giovane ti domanda in sposa» le annunciò senza preamboli il genitore «non trovo ragioni per negare il mio consenso e anche tua madre è d’accordo con me.» L’anziana donna filava la lana ad un fuso e annuì maliziosa. «Ma conta solo quello che vuoi tu. Non ti darei un marito che non desideri.»

«Lo conosco appena. Come posso decidere?» Imbarazzata, le sembrò opportuno dire così. E sperò di non doversene pentire.

«A questo si rimedia» replicò suo padre «io e tua madre dobbiamo raccogliere la lana dagli stenditoi e vi lasciamo soli. Parlate pure quanto volete.» Lo stupore di Forestiero lo divertì. «Non temere giovanotto, mia figlia conosce le buone maniere. Ne uscirai senza danni.»

E parlarono. Della vita e del mondo. Del mondo conosciuto da lui, per i molti viaggi tra paesi e città diverse; e del mondo che conosceva lei, tutto racchiuso lì, nel suo paesello. Pranzarono e dopo lui si fermò per assistere all’adunanza dei ragazzi. Ne rimase incantato. Sentirla raccontare con dolcezza e passione storie di uomini e di popoli sconosciuti; vederla attenta e sempre ben disposta alle domande, anche frivole, dei piccoli abitanti di quel villaggio sperduto, gli fecero comprendere che aveva trovato un tesoro. Quella ragazza sarebbe diventata la madre migliore del mondo.

Pretesa venne a spezzare l’incantesimo.

«Eccolo il nostro fabbricatore. Noi lo paghiamo e lui si diletta con la mia amica del cuore.»

Bruciamorte le reggeva la capretta, evitando lo sguardo interrogativo di Bravafiglia.

«Tuo padre mi pagherà, come pattuito, quando avrò terminato il lavoro» rispose secco Forestiero «sono in anticipo sui tempi ed ho preso una giornata di riposo. Non devo darne conto a te.»

«Non se avessi fatto tutto per bene. Invece hai lasciato un pericoloso buco aperto nel terreno ed io stessa ho rischiato di caderci dentro.»

«Di cosa parli?»

«Del pozzo dietro casa, quello in cui non sei stato capace di trovare l’acqua. L’hai lasciato aperto per venire a trastullarti qua.»

Bravafiglia era allibita.

«Sono sicuro di averlo coperto. Ho segato delle assi a misura e le ho inchiodate con due traverse.»

«Ma sono rimaste al lato della buca.»

Il battibecco aveva richiamato i genitori di Bravafiglia.

«Ragazza mia, ti sbagli» diceva il padre «quando sono venuto a casa tua, questa mattina, e mi hai mandato allo scavo del pozzo dove lui stava lavorando, prima di venire via l’ha chiuso con un tavolato. L’ho visto coi miei occhi.»

«Sarai stato abbagliato dal sole del mattino.»

«Ora basta» la interruppe Forestiero «vengo con te e sistemo tutto.»

Bravafiglia sostenne lo sguardo ostile dell’amica e provò compassione per lei. Forestiero le aveva parlato del pozzo, durante il pranzo. Fu il padre stesso di Pretesa a scegliere il punto preciso dello scavo. Lui aveva suggerito un posto più a valle, poco distante, dove era convinto di trovare l’acqua. Il padrone, invece, non aveva voluto saperne. Scavarono fino alla profondità di sei uomini, poi un banco di roccia durissima li fermò definitivamente. Il pozzo sarebbe stato rinterrato, ma non subito. A volte capita che la vena d’acqua si ottura durante lo scavo, poi però ritrova la sua strada e la cisterna si riempie. Dopo tanta fatica era il caso di sperarci. Comunque la bocca dello scavo sarebbe stata coperta per sicurezza e così fu fatto. Qual era, dunque, il gioco di Pretesa? Congedò i ragazzini e si ritirò in camera sua. Ripensava all’incubo della notte e a com’era possibile che pure l’amica ne avesse avuto uno uguale. Cosa stava succedendo intorno a loro. Non c’era pazzia più grande dell’odiarsi per amore.

Forestiero andò avanti, allungando il passo, e gli altri due faticavano a stargli dietro.

A metà strada Bruciamorte prese la via di casa sua. Pretesa lo salutò «Domattina all’alba vieni subito da me. I miei genitori vanno al mercato della città e tu dovrai aiutarmi prima di andare al pascolo.» Annuì e riprese a camminare verso casa. Disprezzava il comportamento dell’amica. Lui pure aveva gelosia di Forestiero. Provava un dolce sentimento per Bravafiglia e sarebbe stato felice di poter essere ricambiato. Ma era giusto pretendere di averla, ad ogni costo, anche contro la sua volontà? Con questa confusione in testa se ne andò a dormire.

Forestiero aveva raggiunto il luogo dello scavo. Vide il coperchio spostato di fianco e lo rimise a posto. Pretesa gli stava dietro con la capretta in braccio.

«L’hai fatto bello solido e pesante» disse beffarda «ho fatto fatica a trascinarlo.»

«Hai messo in pericolo la tua famiglia e tutta la gente della casa.»

«Se ci fosse caduto qualcuno, avrebbero incolpato te e saresti andato in prigione. Se io non posso averti, nessun’altra ti avrà mai.»

«Sei una stupida incosciente.»

«Se l’ami davvero devi rinunciare a lei per me.»

«Altrimenti?»

«Altrimenti ci sarà da piangere.»

«Non ho interesse per te. Rassegnati. Prima dell’alba sarò nella cava a prendere il materiale per interrare il pozzo. Poi me ne andrò.»

Lei non si scompose. Entrò in casa, si mise a letto e dormì serenamente, con Barbettina di fianco, distesa per terra sul tappeto. Si svegliò poco prima dell’alba. Si sedette, sollevò il piede e lo fece ricadere con forza sulla zampa della capretta. La povera bestiola strepitò di dolore, ma nessuno poteva sentirla. Tutti erano già partiti per il grande marcato della città.

Bruciamorte si alzò presto ed uscì di corsa per salire alla tenuta dei Lattari. Aveva dormito poco, inquietato da un incubo ricorrente, in cui finiva sempre per precipitare dentro un pozzo. Trovò Pretesa piangente e disperata. Barbettina stava male di nuovo. Si era rotta l’osso di una zampa e solo Bravafiglia poteva fare qualcosa per lei.

«Non so cosa mi è preso. Ti prego, scongiurala di venire da me, devo chiederle perdono.» Sembrava sincera.

«Vado subito a chiamarla.»

«Aspetta» lo trattenne «la incontrerai dopo al pascolo. Ora devi aiutarmi a fare un graticcio di canne per distenderci Barbettina.»

Il fascio delle canne era poggiato in un angolo. Con una corda unirono i lati esterni e poi le file interne ad incrocio. Ne fecero un’ampia grata su cui adagiarono la capretta e la legarono con strisce di lana, per tenerla ferma. Barbettina, stordita dal dolore, non oppose resistenza.

Bravafiglia accompagnava le pecore e pensava a Pretesa. Qualcosa di malefico doveva esserle entrato nell’anima. C’entrava forse quel velo ghiacciato dell’altra notte? Era ancora lontana dal pascolo, quando sentì alle sue spalle il frastuono di un altro gregge. Riconobbe Bruciamorte e si fermò ad aspettarlo.

Appena la vide, il ragazzo abbandonò le pecore e la raggiunse. Le disse del pentimento di Pretesa e della zampa spezzata di Barbettina. Lei non aspettava altro. Scappò via lasciandolo confuso e con tre greggi da tenere insieme.

Arrivò nella tenuta dei Lattari e non le parve di scorgere anima viva. Poi li sentì! Il belato di Barbettina mischiato ai singhiozzi di Pretesa. Provenivano dal retro della casa. Girò l’angolo e li vide, l’una vicino all’altra. La capretta stava distesa per terra, sopra un letto di foglie. La ragazza, inginocchiata al suo fianco, le stringeva la zampa deformata. «Non merito la tua amicizia e vorrei poter tornare indietro.» Evitava di guardarla.

«Io sono già tornata indietro.»

Fece un passo per avvicinarsi alla capretta e qualcosa sotto i suoi piedi si spezzò.

Esultò il Potente delle Tenebre e il Signore della Luce sbigottì.

Un dubbio martellava nella testa di Bruciamorte: quella grata di lunghe canne serviva solo per tenere ferma la capretta o doveva nascondere qualcosa? Chiuse gli occhi per concentrarsi e fu ripreso dall’incubo della notte: cadere dentro al pozzo. Capì e rabbrividì. Ma si riscosse. Chiese ad un altro pastore di badare anche alle sue pecore e si precipitò verso il villaggio. Araldo sorrideva. Agguantato il dubbio del ragazzo, lo aveva portato alla ragione prima che Maliardo l’oscurasse. La speranza era ancora viva.

All’alba Forestiero aveva già raccolto le pietre dalla cava e caricate nelle ceste a dorso dell’asino. Quel brutto sogno, dove lui precipitava nel pozzo, l’aveva tormentato per tutta la notte. E se davvero ci fosse caduto qualcuno? Impossibile: il tavolato di copertura l’aveva rimesso a posto egli stesso la sera precedente. Sicuro che fosse lui la vittima di quell’incubo? E se non lui chi? Forse qualcuno vicino a lui. Qualcuno diventato già parte di lui. Qualcuna! E comprese. Non cedette all’angoscia e corse alla casa dei Lattari. Balsamo lo affiancò, cavalcandone l’inarrestabile sentimento. Infido era stato sconfitto, ma c’era da combattere ancora. La luce contro le tenebre. La morte contro la vita. Un nuovo inizio contro la fine.

Cadendo nel vuoto Bravafiglia sollevò le braccia per potersi aggrappare a qualcosa. Nascosta dalle foglie, la grata di canne si era spezzata sotto il suo peso ed anche Barbettina precipitava nel pozzo. Chiuse gli occhi e sognò due mani che l’afferravano. Li riaprì e vide la faccia di Bruciamorte ad un respiro dalla sua. Le mani del ragazzo erano vere e serravano i suoi polsi. Però continuavano a cadere. Lei lo tirava giù e lui non aveva appigli per trattenersi.

«Cosa ho fatto?» La domanda inaspettata balenò nella testa di Pretesa. Ferro non se la fece scappare. Respinse la reazione tardiva di Perfido e fuggì via, verso la sfera della consapevolezza. Pretesa si gettò nella bocca del pozzo e prese Bruciamorte per le gambe. «Ti tengo» gridava «ti tengo! Non lasciarla andare!» Lucenti e Oscuranti avevano fatto la loro parte. Tutto stava nelle volontà dei mortali. «Lasciami!» protestò Bravafiglia in faccia a Bruciamorte «Fammi cadere o moriremo tutti e tre!»

«Non farlo!» urlò Pretesa mentre veniva trascinata giù dagli altri due.

«Resisti!» La voce di Forestiero. Aveva afferrato Pretesa e la teneva per la vita. «Ora vi faccio scendere lentamente. Il fondo del pozzo è vicino.»

«È qua!» Gridò eccitata Bravafiglia. «Poggio i piedi sulla roccia. Ora mi puoi lasciare.»

Bruciamorte sentì alleggerirsi il peso dalle mani e mollò la presa. «È salva!» annunciò sfinito verso la bocca del pozzo. «Tiraci su!»

«Reggi ancora» disse Forestiero a Pretesa «non lo lasciare.» La tirò fuori dal pozzo e lei si portò dietro Bruciamorte. Quando furono tutti in salvo, il costruttore si sporse e guardò in fondo. Bravafiglia si stava già occupando della capretta che non dava segni di vita. «Non aver paura» le gridò «andiamo a prendere qualcosa per tirarti fuori.»

«Va bene» rispose rassicurata «io cerco di far rinvenire questa povera bestiola.» Pareva non ci fosse più nulla da fare per Barbettina. Non respirava e il cuoricino le si era fermato. D’un tratto qualcosa di irreale prese forma dal nulla e si rivestì di luce. Aveva belle sembianze umane, senza alcuna consistenza materiale. «Non temere» le disse quell’essenza luminosa «metti una mano sul cuore della capretta e con l’altra stringile la zampa spezzata.» Obbedì senza indugiare e si sentì percorrere da un flusso, come di sabbia rovente, che le scivolava sotto la pelle, fino ad uscirle dai palmi e dalle dita delle mani. Barbettina riaprì gli occhi. Il cuoricino aveva ripreso a battere e la zampetta sembrava perfettamente risanata. L’essere lucente non c’era più. Ma una nuova luce si accese dietro di lei. «Chi sei?» domandò.

«Un altro» rispose con calma la nuova essenza. «Quello di prima era Balsamo, il guaritore» diversa anche la voce. «Io sono Araldo, il messaggero. E tu sei Maria, la prescelta dal Signore della Luce.»

“Maria!” Era il suo nome e neanche lei lo ricordava più.

«Ti saluto piena di grazia» riprese a dirle Araldo «il Signore è con te. Concepirai un figlio e lo darai alla luce. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo. Il Signore gli darà il trono dei re e il suo regno non avrà fine.»

«Come avverrà tutto questo? Poiché io non conosco uomo?» chiese lei senza timore.

«Lo Spirito del Signore scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra.»

«Eccomi, sono la serva del Signore» non esitò «avvenga per me secondo la tua parola.» E la luce si spense.

L’urlo bestiale del Potente delle Tenebre si levò dal più profondo Abisso delle Ombre, rimbombò in tutto l’Invisibile e risalì fino in cima all’altissimo Regno del Chiarore.

Là sorrideva il Signore della Luce.

Forestiero fece scendere una grossa cesta nel pozzo. La ragazza vi entrò con Barbettina e fu tirata fuori in pochi istanti. Andò incontro a Pretesa, le consegno la capretta e la strinse a sé. Poi si concesse all’abbraccio di Bruciamorte.

«Mi chiamo Maria» disse infine a Forestiero, mentre gli prendeva le mani «ed ho cose importanti da dirti.»

«Il mio nome è Giuseppe» rispose il costruttore «e sarò lieto di ascoltarle.»

A oriente sorgeva il sole e cominciava un giorno nuovo.